Mentre mi appresto ad esaurire le ultime cartucce narrative di Ghost of Tsushima fra molti alti e altrettanti bassi, non riesco a non continuare a soffermarmi su tutto quello che fa da contorno alle vicende principali, nonché uno dei motivi per cui ancora non ho completato l’ultimo paio di missioni principali e il motivo principale per apprezzare ed amare l’ultima fatica di Sucker Punch. E non riesco a smettere di pensarci perché non riesco a smettere di farle, un po’ perché costituiscono un ottimo modo per spostarsi velocemente nell’isola e un po’ perché fra queste attività secondarie si nasconde la vera bellezza del gioco.

Ho già parlato ampiamente del concetto di “bello” ribaltato presente all’interno della produzione, ma in effetti non mi sono ancora soffermato ad analizzare quelle attività che,al netto di tutto, mi hanno tenuto incollato allo schermo e che rappresentano, ad oggi, anche una certa voglia di ricercare un platino nel gioco (una cosa che mi accade estremamente di rado). Ma non solo, le attività di cui vi andrò a parlare, i duelli e i santuari, rappresentano anche il punto più alto di Ghost of Tsushima per quanto riguarda combat system, esplorazione e level design ponendosi quindi come l’ennesimo esempio di “occasione mancata” per tutto il resto del gioco.

Siamo sempre lì: laddove esiste una cura maniacale con un risultato ben al di sopra “dell’eccezionale” si contrappone una struttura principale ben più scarsa e al di sotto del livello di questo tipo di esperienze secondarie. Se l’esplorazione “principale” si avvale di un semplice fattore estetico per risultare soddisfacente ed appagante, il raggiungere la cima di un santuario è invece una sfida che dimostra un level design eccezionale complice una certa verticalità della mappa che non è presente in altri punti del gioco. Se il combat system di gioco pecca per profondità e strategia, i duelli offrono la miglior esperienza con l’arma bianca presente all’interno del titolo, addirittura meglio delle sporadiche boss battle presenti nell’arco narrativo.

Provo ad essere un po’ più dettagliato nello spiegare perché è molto più bello ricercare i santuari in termini di esplorazione rispetto al mero cavalcare per l’isola di Tsushima e perché combattere contro i soli 5 Ronin presenti come duelli secondari nel gioco sia estremamente più bello di qualsiasi altra battaglia. I santuari sono luoghi molto particolari della mappa: la strada per raggiungerli è scandita da alcuni archi di legno votivi piazzati sul sentiero che ci accompagnano fino ad un certo punto della strada: da li in poi inizia la magia.

Attività secondarie fenomenali e dove trovarle

O meglio, inizia già dal momento in cui incontriamo un arco e iniziamo a pensare di dover capire in che punto è situato il santuario. Poi succede che la strada diventa diroccata perché sapete, no? L’invasione mongola, il tempo che passa… insomma la via non è più agevole. Questo si traduce in un percorso particolare da seguire fra salti ed arrampicate che spicca il volo nel momento in cui otteniamo il rampino, ovvero quando il gioco inizia a mostrare il lato migliore del suo level design: la verticalità.

Lo zompettare di Jin fra gli alberi e le rocce con questo strumento è semplicemente fantastico, così come lo è la costruzione della mappa con tutti i suoi angoli ciechi e le alture piazzate strategicamente per indicarci il cammino. Arrivare in cima al santuario diventa la cosa più divertente dell’esperienza, quasi migliore del premio finale, un amuleto, al punto da continuare a fermarmi nei santuari e a rigiocarne alcuni anche se non ho bisogno di altri amuleti nella mia “build” personale. Un tipo di esplorazione bella al punto da chiedersi come mai queste idee eccezionali siano state relegate solo ed esclusivamente a un’attività secondaria come questa senza trovare un vero e proprio spazio nella main quest, salvo qualche piccolo caso sporadico qua e la nell’avanzare della guerra.

A questo si aggiungono i duelli, che appariranno in un momento ben preciso della storia e che fanno raggiungere al gioco il massimo esprimibile da un combat system del genere: sono estremamente strategici, estremamente affascinanti, tecnici, complessi e sono inseriti all’interno di un’arena la cui estetica supera di gran lunga qualsivoglia aspettativa. Questi Ronin sono veloci, hanno un moveset molto particolare (e diverso per ognuno di loro) e richiedono un tipo di combattimento più lento e ragionato rispetto a quello a cui siamo abituati nel corso dell’avventura.

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Non solo, tali duelli rappresentano anche fra i punti narrativi più altri della produzione rendendo quasi più piacevole completare quello che possiamo quasi definire “arco narrativo” più piccolo e particolare. Ancora una volta Ghost of Tsushima ci dimostra quel senso di “sarei capace ma non lo faccio”, mostrando qualcosa di eccezionale, con una valore ludico altissimo e fuori parametro, contrapposto ad una sufficienza appena accennata all’interno della produzione. Un open world che concentra la quasi totalità delle sue forze e delle sue capacità sulla cornice invece che sul quadro stesso: atipico come pochi, straordinario, a modo suo.